Predicazione tenuta il 15 febbraio 2009 nella Chiesa evangelica metodista di Firenze
Or come si riuniva una gran folla e la gente di ogni città accorreva a lui, egli disse in parabola:
“Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. Un’altra cadde sulla roccia: appena fu germogliato seccò, perché non aveva umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine: le spine, crescendo insieme ad esso, lo soffocarono. Un’altra parte cadde in un buon terreno: quando fu germogliato, produsse il cento per uno.” Dicendo queste cose, esclamava: “Chi ha orecchie per udire, oda!”.
I suoi discepoli gli domandarono che cosa volesse dire questa parabola. Ed egli disse: “A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio: ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non vedano e udendo non comprendano.
Or questo è il significato della parabola: il seme è la parola di Dio. Quelli lungo la strada sono coloro che ascoltano, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dal loro cuore, affinché non credano e non siano salvati. Quelli sulla roccia sono coloro i quali, quando ascoltano la parola, la ricevono con gioia: ma costoro non hanno radice, credono per un certo tempo ma, quando viene la prova, si tirano indietro. Quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze e dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità. E quello che è caduto in un buon terreno sono coloro i quali, dopo aver udito la parola, la ritengono in un cuore onesto e buono e portano frutto con perseveranza.”
Luca 8,4-15
Care sorelle e cari fratelli,
questo brano ci porta al centro del nostro rapporto con Dio e della nostra missione come Chiesa. La parabola del seminatore è un elemento centrale nella predicazione di Gesù, lo rappresenta nel pieno delle sua missione di predicazione ed è riportata in tutti e tre i vangeli sinottici (anche Matteo 13, 1-23 e Marco 4, 1-20). E’ nel pieno della sua azione e nei capitoli precedenti ha già scelto i Dodici e operato segni miracolosi. Proviamo un attimo a immaginare questa parabola come una grande affresco, immagino un affresco fiammingo, dove il gioco dei colori contrapposti è netto, violento e inequivocabile, dove tenebre e luce giocano in maniera stupenda per dare una raffigurazione tremenda ma stupenda del giudizio di Dio. Come avrebbe rappresentato un pittore fiammingo questa parabola? C’è un elemento centrale ed è Gesù stesso che la mattina esce per diffondere la Parola che è seme. Nonostante questo elemento di unitarietà l’affresco si divide in quattro scene: le prime tre sono scene di fallimento e amarezza perché il seme è sprecato sulla strada (oggi si direbbe sul duro asfalto), sulla roccia e nelle spine. Sono tre scene che immaginiamo tetre e buie, senza speranza. La quarta scena, presumo sopra le altre tre, è una scena di vittoria di Cristo sulle tenebre che vogliono oscurare la sua Parola, è il frutto positivo della sua semina, illumina chi è rimasto al buio ed è disperato.